martedì 20 dicembre 2011

Minibasket in Brasile: il progetto di solidarietà continua


Il nostro ex dirigente, allenatore e giocatore Damiano Conati, é partito un anno fa con la famiglia per il Brasile, come missionario cattolico della Chiesa di Verona. Si trova nella periferia della città di São Luis, stato del Maranhão, nord-est del Brasile. Anche là ha iniziato un lavoro sportivo, per cercare di togliere dalla strada piú bambini possibili, e in questo progetto non poteva mancare il basket. Pubblichiamo una lettera che ci ha scritto, dove ci racconta come è stato il suo primo anno di allenatore di pallacanestro in una periferia povera di una grande metropoli brasileira. Un saluto a lui e alla sua famiglia e un in bocca al lupo per il loro lavoro in missione.

La prima volta che sono entrato all’Azulão con il fischietto al collo era il 23 di marzo. Era la mia prima lezione di basket in Brasile! Ero agitato: uno, perché non avevo la minima idea di quello che mi aspettava; due, perché tutto mi sarei aspettato dell’esperienza missionaria in terra maranhense, meno che dover riprendere in mano una palla da basket! Entro dal cancello della scuola con un poliziotto armato che mi fa passare, passo dal piccolo corridoio che c’é tra l’edificio scolastico e l’alto muro di cinta, supero con agilità una cascata d’acqua che fuoriesce dalla cassa sopraelevata e vedo davanti a me la palestra: resto a bocca aperta!
Antefatto.  Il progetto sportivo iniziato in Cidade Olimpica con il nostro arrivo, prevedeva la danza capoeira, la pallavolo, il calcio e il basket. Mentre nei primi tre casi, non avevamo problemi di spazi per svolgere le attività, con il basket tutto è risultato più difficile. Abbiamo così stretto una collaborazione con le due scuole pubbliche di Ensino Fundamental (gli 8 anni di elementari e medie italiane) di Cidade Olimpica. In una siamo entrati con il nostro allenatore per organizzare il calcio a 5, nell’altra (l’Azulão) é toccato a me con il basket. Naturalmente tutto organizzato a livello burocratico, un mio registro presenze, un piccolo rimborso spese (che ovviamente avrei reinvestito nel progetto sportivo) e un programma di lezioni che prevedeva: tre pomeriggi alla settimana per le classi che frequentano scuola al mattino, e un mattino alla settimana per due classi del pomeriggio. Da marzo a dicembre (il periodo scolastico brasiliano). Sembrava una cosa semplice e ben organizzata dalla preside della scuola… sembrava…
Quando vedo la palestra il mio primo giorno di scuola, non ci posso credere! Un centinaio di alunni scatenati dentro, altrettanti intorno, qualcuno che entra dall’alto muro di cinta, ragazzini, giovani, adulti… nessun responsabile! Un caos totale disorganizzato! Preso dallo sconforto entro in campo, fischio due o tre volte, nessuno si accorge della mia presenza. Lancio un paio di urla e così quelli che avrebbero avuto lezione in classe, si diradano. Restano alcuni giovanotti dalla faccia poco raccomandabile che avevano scavalcato solo per giocare un po’ a calcio e i bambini di 10-11 anni: quelli che dovevano partecipare a basket. Sono 10-20-30 e via via aumentando… Sembra la Carica dei 101! Arrivo a contarne una 90ina… Pazzesco! E io dovrei far basket con 90 alunni?? Vado dalla preside, che nel frattempo avrebbe dovuto darmi gli elenchi per l’appello e i palloni della scuola. Di elenchi nemmeno l’ombra e di palloni neppure! La preside guarda la situazione e mi dice: «non si preoccupi professore! Questi ragazzi vanno divisi tra lei e la professoressa di scacchi!». Il che significava: 45 minuti un gruppo di 45 alunni, poi il cambio, e altri 45 minuti con gli altri 45! E quando ho scoperto che quei 90 erano praticamente di due classi soltanto, lo sconforto aveva già preso il totale sopravvento!
I primi tempi sono stati i più duri: i palloni me li sono dovuti portare da casa, lezioni anche con più di 50 alunni, gli adolescenti e gli adulti che scavalcavano per usare la palestra mi insultavano perché non li lasciavo entrare, quelli delle altre classi, se non avevano lezione, entravano senza il minimo rispetto, le battute e le risatine contro gli italiani o sul mio portoghese grezzo non mancavano… E le cose sono andate peggiorando. Carrellata: 1.pietre, forchette, cd, oggetti vari venivano lanciati dall’esterno del muro di cinta alla palestra (con il caldo che c’é, qui le palestre hanno il tetto, ma sono aperte ai lati in alto), mettendo a rischio l’incolumità di tutti noi (fortuna o destino, non si é mai ferito nessuno). 2.La preside ha cominciato a mettere gli orari di educazione fisica degli altri profe sormontati ai miei… dovevo dividere la mia palestra con 50 alunni, con un altro professore e la sua classe di altri 50 alunni! Professore che tra l’altro non ha voglia di far niente e il più delle volte, usciva, entrava nella sua macchina e usava il cellulare… lasciandomi in balia di 100 belve scatenate! (in più di un’occasione mi sono trovato a far basket nella sala mensa, tra l’ilarità generale delle cuoche che mi vedevano disperato!) 3.l’inoltrarsi della stagione delle piogge ha fatto sì che in più di un’occasione piovesse dentro. Finché un giorno di fine maggio non si é staccato un pezzo di lamiera del tetto, che é volato in palestra senza ferire nessuno, ma così, quando pioveva, diventava un’avventura… vere e proprie pozzanghere dappertutto… (anche perché un acquazzone all’Equatore ha una discreta potenza!). 4.non racconto di quando la professoressa di scacchi non arrivava a scuola… fare lezione con una 90ina di alunni va al di là dell’impossibile!
Il tutto aggiunto ad un’organizzazione scolastica pessima. Da marzo e fine giugno sono riuscito a tenere 4 lezioni in una settimana solo una volta (a metà giugno). Nelle altre occasioni tra scioperi, feste inventate, assemblee e scuole chiuse senza motivi certi, non ci sono mai riuscito! Arrivavo a scuola, non c’era nessuno e me ne tornavo mesto mesto in casa… In luglio (durante il mese di vacanza) é cambiata la direzione e il nuovo preside ha un po’ lasciato da parte il progetto. In settembre siamo ripartiti, ma con pochi alunni (una quindicina), solo i pomeriggi e senza palestra, data solo al professore svogliato di ed.fisica. Oggi giochiamo tra la strada e un piazzaletto di cemento in leggera discesa, con un tombino rialzato e pericoloso nel mezzo e naturalmente senza il canestro. I pochi ragazzi rimasti si divertono e mi ascoltano. É difficile, ma fino a fine dicembre continuiamo, poi l’anno prossimo si vedrà!
Un bilancio? È stata un’avventura. I primi tempi, la Chicca mi diceva al ritorno a casa: «Meno male che sei tornato vivo anche oggi!». Alla fine con tutti questi alunni, era praticamente impossibile insegnare il basket! Il mio é stato più un lavoro sociale: “i ragazzini sono in palestra, cosí almeno non sono in strada!”. Mi sono affezionato molto, soprattutto ad alcuni di loro, e tutti mi chiamano professor o tio (anche in giro per le strade della città). La speranza è che qualcosa sia rimasto e che nel futuro, con un po’ di esperienza in più, si possa lavorare meglio.